cultura e sociale: due parole che in fondo sono una sola
Avevo circa sedici anni quando ho cominciato a occuparmi di volontariato.
La prima esperienza la feci insieme agli scout al campo rom del quartiere.
Da quel giorno il mio sguardo si fece sempre più interessato a certi temi.
Più crescevo e più mi interessava raccontare e comprendere la realtà, perchè con l’aumentare degli anni crescevano anche certe domande.
Finito il liceo, l’Università, la scuola di cinema, poi quella di teatro.
Più studiavo e più aumentavano le domande anzichè diminuire.
Poi un master in comunicazione.
A 20 anni iniziai a lavorare in un centro di prima accoglienza per minori in stato di arresto di Roma.
Da quell’esperienza nacque il romanzo Schiena contro Schiena (casa ed. Le Lettere) che poi venne anche adottato dalla
cattedra di sociologia della devianza dell’Università Roma Tre.
Ho sempre creduto che il binomio cultura – sociale fosse vincente, solo la cultura può rendere davvero all’altezza di tutti questa contemporaneità.
La cultura può e deve accompagnare i processi di trasformazione sociale.
Ben venga la legge contro la violenza sulle donne, ma lo strumento legislativo deve essere accompagnato da un cambiamento culturale, perchè poco più di trent’anni fa erano in vigore il delitto d’onore e il matrimonio riparatore.
Quando ho cominciato a lavorare non andava molto di moda la tematica sociale. “Giulia dai la gente vuole andare a teatro per distrarsi”,
questo mi ripetevano tanti miei colleghi e amici.
Ma io non ci potevo fare nulla, le storie vere mi affascinavano troppo.
E’ stata dura, specie all’inizio, ma ringrazio la mia ostinazione.
Proprio lì, nella realtà, ho trovato le più grandi fantasie.
E ho scoperto un’altra cosa: tentare di comprendere la nostra contemporaneità può essere anche bello ed emozionante e non solo doloroso.
A volte sorrido quando vedo colleghi autori, registi e comunicatori riempirsi la bocca di belle parole vuote..ma che non vogliono assolutamente sentirne di riempirsi anche braccia e occhi di esperienze dirette.
Abbiamo una responsabilità maggiore quando trattiamo certi argomenti delicati che dividono l’opinione pubblica nella società del last minute, dell’apparenza ingannevole, di bufale e troll.
Le cose vanno viste, annusate, respirate.
Conosciute.
Come si può raccontare un carcere senza aver mai oltrepassato un muro di cinta?
Per tanti ancora, il sociale è un metodo di pulizia rapido e indolore di coscienze, che dura il tempo di una condivisione social o di un fugace riscontro momentaneo.
L’altro giorno sono rimasta molto colpita dopo aver letto un post razzista condiviso dall’ organizzatore di un festival culturale a tematica sociale. Come è possibile? Il sociale non è una scelta di opportunità tematica (scelgo di cavalcare un tema piuttosto che un altro) ma una visione.
Come puo una persona “impegnata” in questo settore essere promotrice di esclusione?
Questa è la prova provata che sociale è cultura, ma quella vera.
Siamo abituati all’indignazione che dura una manciata di minuti, che ci porta a condividere sui social le notizie più atroci (magari nemmeno approfondite viste le tante bufale che girano) ma che quasi mai ci porta a un’azione o una semplice domanda: io cosa posso fare?
Perchè tutti noi, forse ce lo siamo scordati, ma possiamo fare moltissimo.
Un mondo migliore non solo è possibile, ma dipende anche da noi tutti.
Ringrazio i miei anni di volontariato e lavoro nel settore del sociale, sono stati e continuano a essere una palestra di cittadinanza attiva costante.
Ho incontrato e conosciuto gente che davvero ha tentato in tutti i modi di lasciare un segno tangibile del proprio passaggio in questa terra.
Scoprire il mondo oltre noi è un “rischio” che vale sempre la pena di correre.
E lì che nascono a mio avviso le più grandi scommesse.
Personali e collettive.
Restiamo umani.